I motivi delle feste d’estate

Editoriale curato da Don Umberto Dell'Orto sulle feste che caratterizzano il periodo estivo nelle nostre parrocchie

Ciò che accomuna le feste delle cinque parrocchie della nostra comunità pastorale di S. Maria di Lourdes è che non tanto avvengono in estate ma sono collocate, si può dire, a forza in estate. Infatti, tre su cinque dovrebbero avere la loro collocazione in altro periodo, cioè ad aprile, nel giorno di San Giorgio, per Lurago, a novembre, nella solennità di Tutti i Santi, per Cirimido, e a dicembre, all’Immacolata, per Cascina. Perché questa forzatura? Penso che la risposta si trovi nel contesto in cui il nostro territorio si è venuto a trovare fino a tre-quattro generazioni fa, quando l’agricoltura la faceva da padrona. Quello è il quadro in cui collocare originariamente le nostre feste.

Allora si sentiva il bisogno di tirare il fiato dal duro lavoro dei campi e di alzare un po’ la testa, il più delle volte china sul terreno. Per questo ci si fermava qualche giorno: e il respiro riguardava non solo i polmoni mentre la testa si levava verso il cielo; la pausa delle feste, perciò, aveva una forte dimensione religiosa. Una religiosità propria dei contadini, con riferimenti tangibili, come quello delle reliquie: a Cirimido e a Lurago ne è rimasta una testimonianza con santa Cristina e san Valentino, i cui resti giunsero nelle rispettiva parrocchie nel 1712 e nel 1681.

Chi lavorava i campi – i vasti campi di allora – passava gran parte del tempo per lo più solo o con pochi aiutanti. Le feste estive creavano una situazione complementare, perché gli abitanti di ciascuna parrocchia trovavano modo di stare insieme. Magari condividendo qualche frutto del loro lavoro e, certamente, mangiando cibi più curati e gustosi del solito e… largheggiando nel bere. Chissà, forse in quel contesto, poteva accadere che qualche inimicizia si smussasse o, per lo meno, qualcuno, che di solito guardava di traverso qualcun altro, davanti ad un buon piatto o a un bicchiere di vino, ammiccasse un sorriso; oppure accadeva il contrario, sicché il malumore che serpeggiava tra singoli e famiglie tarpava un po’ le ali alla gioia festaiola.

Di certo, si indossava l’abito bello e questo non solo rendeva più gradito lo stare insieme ma permetteva ai giovani e alle giovani di allacciare delle relazioni che potevano sfociare in fidanzamenti ufficiali. Altra certezza era la presenza dei più piccoli: per loro si trattava di una festa assoluta, con dei dolci, con qualche gioco, qualche piccola giostra che si vedeva solo in quell’occasione. Con tutta probabilità le mamme, trovavano modo di stare tra loro per parlare più a lungo dello loro cose: i pericoli allora erano pochi e quindi bastava poco per tenere sott’occhio i loro bambini e le loro bambine che correvano e saltavano qua e là.

Ciò che doveva colpire delle feste di allora è che non c’erano confini ben determinati tra i vari fattori in gioco, con il risultato di un gradevole miscuglio. C’è da domandarsi se tra preghiere e canti in chiesa e nelle processioni, da una parte, e scambi di battute, schiamazzi, esclamazioni, apprezzamenti amorosi (e così via), dall’altra, vi fosse più il senso dell’amalgama oppure dello sguaiato contrasto. È più probabile il primo esito rispetto al secondo, almeno generalmente parlando. Comunque, è sicuro che coloro che riempivano le chiese e infoltivano le processioni erano pressoché gli stessi che si trovavano nella piazza e nelle vie del paese, per vivere tutti gli altri momenti della festa.

La ricostruzione che ho delineato vuole non tanto abbozzare un mondo che non c’è più ma ricordare che in quel mondo affondano le motivazioni e le caratteristiche della nostre feste, così che emerga la seguente domanda: con quel mondo che non esiste più sono spariti anche i motivi e i caratteri originari delle nostre feste? Credo che la risposta non sia scontata e che chiami in causa la nostra preparazione e partecipazione alle feste delle nostre parrocchie.

Comunque, c’è una differenza che potrebbe tornare a nostro vantaggio. I tempi che sono stati evocati difficilmente permettevano a chi apparteneva ad una parrocchia di partecipare alla festa di un’altra parrocchia poiché anche solo qualche chilometro creava distanze ai più invalicabili – oltre alla mentalità che rendeva ogni parrocchia un piccolo mondo chiuso in se stesso. Noi per i mezzi che abbiamo a disposizione e per la possibilità di ampliare le nostra mentalità potremmo con facilità passare da una festa all’altra: anche perché sono feste di cinque parrocchie, tutte inserite in un’unica comunità pastorale.

 

Dell’Orto Don Umberto
Sacerdote collaboratore
Collaboratore dell’Archivio Storico Diocesano