La mia riflessione parte con l’handicap di avere partecipato direttamente a pochi momenti, causa una fastidiosa bronchite che ha avuto il suo apice proprio nel tempo della missione.
Devo dire che la malattia, costringendo a fermarti, ti mette in una condizione di debolezza che, da cristiano, ti porta ad affidare al Signore le cose che non puoi fare.
Così ho vissuto la missione pregando per la missione, mettendola, cioè, nelle mani del Signore: “Se il Signore non costruisce la casa invano si affaticano i costruttori.” ( Salmo 126)
Della missione so da quanto ho ascoltato dalle persone con le quali ho parlato.
La missione ha posto al centro la gioia, la relazione, la passione, la bellezza dell’essere cristiani che, in fondo, sono l’attrazione per chi è lontano e ci guarda e sono il motore per chi è vicino, per ogni comunità.
Cosa ci rimane della missione? Adesso cosa facciamo? Andiamo avanti come prima? In verità sono sempre stato convinto che la missione, più che hai lontani, era un’occasione per risvegliare i vicini, fare riscoprire la bellezza della fede in Gesù. La missione, quindi, come richiamo a noi che partecipiamo assiduamente alla vita della Chiesa, scrivo di proposito Chiesa e non parrocchia o comunità, dove riscoprirsi fratelli e figli dello stesso Padre, in cammino verso il Regno di Dio.
Se vogliamo che la missione abbia successo dobbiamo cambiare qualcosa, non grandi cose, mettere in atto azioni, gesti, comportamenti, attenzioni che ci facciano riconoscere cristiani.
Ci deve essere un cambiamento di stile orientato primariamente verso chi abbiamo più prossimo, più vicino ed è a questo livello che gioca un ruolo importante la parrocchia e di rimando la comunità.
Sacerdoti, diaconi, laici, ognuno secondo le proprie responsabilità, siamo richiamati ad una conversione di vita. Cosa che diciamo spesso.
Alla luce della missione bisognerebbe rivisitare la pastorale ordinaria in tutti i suoi ambiti: dalla Liturgia alla pastorale giovanile, alla catechesi, alla pastorale famigliare, alla Caritas, alla pastorale missionaria, agli oratori, all’ attenzione alle povertà, al ministero della consolazione etc… Non certo per giudicare nessuno ma per rilanciare ciò che di buono e bello si fa. A questo proposito il primo Gennaio abbiamo letto la lettera ai Filippesi: “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù…” (Fil 2,5 11) Nell’omelia Don Walter ha lanciato cinque parole che sono già un programma per vivere la Missione: preghiera, perdono (misericordia), Sacramenti, Vangelo (Parola di Dio), Carità (agire di Dio). Non lasciamoci dunque rubare la speranza che è in noi e con pazienza, con coraggio e creatività, ripartiamo confidando nello Spirito Santo che ci guida. Altrimenti il rischio è di fare la fine del servo che seppellisce il denaro… Penso che questo possa essere il lavoro del prossimo consiglio pastorale… rendere ragione della speranza della vita cristiana… perché essere cristiani rende felici.