In questa domenica che chiude l’anno liturgico, celebriamo la solennità di Gesù, re e salvatore di tutti. E’ molto chiaro il messaggio che la liturgia ci vuole lasciare quando si arriva al compimento dell’anno: tutto porta a riconoscere la forza di un amore che non conosce limite e con che non ha confini. E’ un amore rivolto a tutti coloro che lo desiderano e lo cercano. E credo proprio che per il periodo che stiamo attraversando, questa parola sapiente della croce può accompagnarci: non più deliri di onnipotenza e di maniacali grandezze; non più la spavalderia di poter far tutto e vincere sempre e comunque. La parola della croce è umile e sincera: non illude e non inganna, ma sostiene la speranza. E’ la speranza dei poveri che sanno di poter contare sul poco della fede che hanno e che cercano. Accompagno questa riflessione con la riflessione del nostro vescovo:
Nei momenti in cui il male si accanisce sulla vita di una persona o di un popolo, sorgono domande che assumono toni drammatici. Nei tempi dell’epidemia, quando il pericolo è imminente per tutti e ogni comunità, forse anche ogni casa, è visitata dalla malattia e dalla morte, le domande diventano pubbliche, ripetute, esasperate. Certo si raccolgono anche domande che rivelano una resistenza di fronte all’angoscia, intesa come una debolezza. Chi si sente forte, chi si ritiene al riparo dalla minaccia immediata si domanda: che cosa si può fare e che cosa non si può fare? Quando finirà? … Dio si è manifestato nella carne di Gesù, la fragilità che ha subìto il tradimento e la violenza, e in questo ha rivelato la gloria di Dio, cioè l’invincibile amore. L’onnipotenza di Dio si è rivelata non nel mandare dodici legioni di angeli a sbaragliare le potenze ostili che innalzavano sulla croce il Figlio, non nel prodigio preteso come sfida da coloro che provocavano Gesù a mostrare la sua regalità scendendo dalla croce. L’onnipotenza di Dio si è rivelata in Gesù che proprio nel consegnare la sua vita alla violenza ingiusta ha portato a compimento il suo amore, il più grande, quello che dà la vita per i suoi amici.
In questa domenica si unisce la celebrazione della giornata diocesana della Caritas e quella del povero. lascio solo uno stralcio del messaggio di Papa Francesco.
La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto. Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina. Ogni anno, con la Giornata Mondiale dei Poveri, ritorno su questa realtà fondamentale per la vita della Chiesa, perché i poveri sono e saranno sempre con noi (cfr Gv 12,8) per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana.
Facciamo nostre le parole del Siracide (Sir 7, 36-40) da cui ha preso spunto questo messaggio:
Al povero stendi la tua mano,
perché sia perfetta la tua benedizione.
La tua generosità si estenda a ogni vivente
e al morto non negare la tua grazia.
Non indugiare a visitare un malato,
perché per questo sarai amato.
In tutte le tue opere ricordati della tua fine
e non cadrai mai nel peccato.