Vi propongo la riflessione del nostro decano Mons Erminio Villa al termine della processione per sant’Abbondio. Parole che valgono per tutte le nostre comunità!
La Chiesa sta cambiando e noi guardiamo a questo mutamento senza paura, ma con serenità, sapendo che niente è più come prima. Il cambiamento culturale mette in luce che la forma adottata dalla Chiesa per abitare la storia e la società non funziona più.
Allora era fortemente ancorata a una popolazione stanziale, mentre ora la gente ragiona per flussi, ci si muove di più, c’è il mondo digitale. Tocca a noi, oggi, immaginare come incarnare la fede cristiana e il Vangelo in questo tipo di società. Nella città che cresce la fede vuole esserci, per dire che il senso della vita è l’amore di Dio in Gesù.
Anche noi, come Abbondio, dobbiamo testimoniare Cristo, figlio di Dio e uomo perfetto, identificandoci con la vita, il messaggio, lo stile, il destino del Maestro, e portando gioia e speranza evangelica nei diversi ambiti del nostro impegno in questa nostra epoca. Consideriamo tre snodi della nostra vita ecclesiale: la missionarietà, la sinodalità, la ministerialità.
- Il nostro comune impegno di Chiesa sarà finalizzato ad una progressiva missionarietà della Chiesa, secondo l’esortazione “Evangelii gaudium”, che invita tutti i battezzati ad essere “discepoli missionari”.
- Vorremo costruire, inoltre, una Chiesa più sinodale, in cui viene riconosciuta la comune dignità battesimale ed è praticata la corresponsabilità di tutti i cristiani nella missione. Siamo chiamati a instaurare uno stile di ascolto e di attenzione, che trasformi tutte le nostre relazioni, includendo anche coloro la cui voce è più frequentemente ignorata.
- Una terza priorità è la scelta della ministerialità, quale esigenza della vocazione missionaria di ogni credente. Per questo vanno promossi e accompagnati percorsi formativi verso i ministeri istituiti: lettorato, accolitato e catechista, prevedendo anche ministeri come l’accoglienza, la consolazione, la compassione.
Noi siamo qui a celebrare il dono dello Spirito che si esprime con una pluralità di doni. Ciascuno, come dice Paolo nella I Lettera ai Corinzi, ha ricevuto una manifestazione particolare dello Spirito che diventa preziosa perché contribuisce al bene di tutta la comunità.
Nella Chiesa non contano le risorse, le capacità di esprimersi, ma che ciascuno offra il suo dono. Siamo qui stasera per rispondere alla domanda su quale è il dono che possiamo offrire al nostro paese e alla nostra Chiesa, per essere la “Chiesa dalle genti”, in cui tutti formiamo un corpo solo e un’anima sola.
Il mondo non vede lo Spirito, perché la mentalità mondana considera le cose secondo i propri criteri – quanti soldi hai, quante lingue parli, che titoli di studio hai acquisito, cioè guarda gli aspetti esteriori; ma noi dobbiamo preoccuparci del volto che esprimeremo uscendo di chiesa, in mezzo a tutti… Noi partecipiamo alla vita di Dio e testimoniamo la speranza invincibile. In altre parole; bisogna fare un cammino di fede, di preghiera, in umiltà e verità.
A Cana Gesù non risolve il problema della mancanza di vino, ma aziona la cultura della cura, infatti il miracolo non lo fa lui, ma quelli che si prendono cura, i servi, che lui stimola ad investire in premura, coraggio, attenzione, fiducia, andando contro le apparenze, i pregiudizi, la rassegnazione: “prendete l’acqua e versate”.
Il primo “segno” di Gesù è prendersi cura, prendersi la responsabilità del bene, perché ognuno faccia be-ne, riceva il bene, stia bene. Quando affronti una malattia con una terapia puoi vincere o perdere, invece quando ti prendi cura di una persona vinci sempre. La cultura della cura però non ci è spontanea.
Ha scritto Alexander Langer: “Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza della nostra civiltà. Se non si radica una concezione alternativa che si può sintetizzare in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce) e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere osteggiato, eluso o disatteso”. La nostra società oggi si trova azzoppata da qualcosa, che sembra aver interrotto la festa, come nelle nozze di Cana.Il prendersi cura attenta, la pazienza nell’affrontare le crisi, la premura, la cortesia, è un vero miracolo! Agire in modo più lento, profondo e dolce aiuta a fare bene, fare il bene, stare bene, e far star bene. È il grande potere della cultura della cura. Alla fine il complimento va allo sposo (e ai camerieri): “Hai avuto cura del buono fino alla fine, quando invece tutti cercano di abbassare il livello diluendo la densità e rassegnandosi alla mediocrità”.