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25 febbraio 2018

Il canto del Santo, esaltazione della santità del Padre

La prima monizione del ciclo dedicato alle tre parole dell’assemblea nella preghiera eucaristica per educare alla partecipazione alla Messa domenicale.

Ci fu un tempo nel quale il Santo non faceva parte della preghiera eucaristica, ma il fascino delle parole che i serafini dalle sei ali rivolgevano al «Signore seduto su un trono alto ed elevato» (cfr Is 6, 1-3), portò presto a inserirle nel canone della messa. Più tardi, nel sec. VI, San Cesario, vescovo di Arles, completò il testo accostando alla citazione profetica il grido con cui la folla accolse Gesù a Gerusalemme (cfr Mt 21, 9). Le due citazioni bibliche non furono però conservate alla lettera, ma conobbero una più libera trascrizione liturgica: «La terra è piena della sua gloria» divenne «I cieli e la terra sono pieni della tua gloria»; «Osanna al figlio di Davide… Osanna nel più alto dei cieli» divenne in tutte e due i casi «Osanna nell’alto dei cieli» (Hosanna in excelsis); infine, l’originale biblico «Signore degli eserciti» (Deus Sàbaot), è divenuto in italiano «il Signore Dio dell’universo».

Il Santo è – come dice il prefazio che lo introduce – un inno di lode e un’acclamazione di giubilo al Dio tre volte santo. La ripetizione ternaria dell’aggettivo «santo» potrebbe far pensare che la prima volta si nomina il Padre, la seconda il Figlio e la terza lo Spirito Santo. Questo modo di intendere, proposto da alcuni autori medievali, deve fare i conti con il fatto che all’inizio della preghiera eucaristica ci rivolgiamo «a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno», e al termine diciamo «per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo». Si deve allora concludere che la triplice acclamazione («santo, santo, santo») esalta in modo diretto ed esplicito la santità del Padre, la quale poi risplende nel Figlio e nello Spirito Santo e, per loro tramite, si irradia su tutta la Chiesa e sull’intera umanità. Cantare la santità di Dio è riconoscere che in lui non c’è ombra di male e di ingiustizia, ma tutto è sommo bene, cioè amore e misericordia, giustizia e verità. Cantare la santità di Dio è anche manifestare il desiderio che tutti ne siano rivestiti, così che il suo nome sia santificato nella vita buona, giusta e santa, di ogni credente e di ogni uomo di buona volontà.

Il testo procede affermando che «i cieli e la terra», cioè tutto l’universo creato, «sono pieni della tua gloria». In queste parole, che corrispondono alla fede cristiana «in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili», riconosciamo che ogni realtà creata, e l’uomo vivente in modo del tutto singolare, è segno della gloria (presenza) del Padre e porta in sé l’impronta di colui che l’ha fatta. Diciamo inoltre che, essendo il Figlio Gesù Cristo, il Verbo fatto carne, la piena rivelazione della gloria del Padre, in tutto il creato risplende anche la gloria del Figlio unigenito, il «primogenito di tutta la creazione», per mezzo del quale e in vista del quale «tutte le cose sono state create». Attestiamo infine che i cieli e la terra sono pieni della gloria di Dio perché, vivificati dalla segreta energia dello Spirito Creatore, che «è Signore e dà la vita», cantano anche la sua gloria.

Osanna, parola ebraica, è insieme invocazione di salvezza e esclamazione di giubilo che può essere proferita qui sulla terra perché da sempre risuona davanti alla maestà divina «nell’alto dei cieli». A essa si accompagna la benedizione di «colui che viene nel nome del Signore», cioè del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, l’inviato dal Padre. Il Santo orienta questa benedizione in senso chiaramente eucaristico: «Come allora il Signore era entrato nella città santa cavalcando l’asinello, così la Chiesa lo vede arrivare sempre di nuovo sotto le apparenze umili del pane e del vino. La Chiesa saluta il Signore nella santa Eucaristia come Colui che viene ora, che è entrato in mezzo ad essa. E al contempo lo saluta come Colui che rimane sempre il Veniente e ci prepara alla sua venuta» (Benedetto XVI). Se il primo Osanna è principalmente per il Padre, il secondo Osanna sembra più direttamente rivolto a Cristo che nell’eucaristia rinnova la sua viva presenza tra noi e c’invita alla comunione con lui e tra noi.

Consideriamo infine i soggetti deputati al canto del Santo. Solitamente, nella conclusione del prefazio si fa riferimento agli angeli e ai santi, cui l’assemblea celebrante si unisce per «elevare senza fine l’inno di lode». Non dobbiamo sminuire queste parole quasi fossero un eccesso di poesia. Esse ci ricordano il profondo legame che unisce il cielo alla terra, la Chiesa celeste e la Chiesa ancora pellegrina sulla terra. Quest’ultima avrebbe tanti motivi per sentirsi inadeguata, se la sua voce non si sapesse sostenuta e incoraggiata dal coro degli angeli e dei santi che, stando davanti al trono di Dio e davanti all’Agnello, prestano loro servizio giorno e notte (cfr Ap 7, 15). È dunque un canto corale di tutta la Chiesa che, nella sua esecuzione, pur senza negare la maestria di un coro polifonico, deve rendere ordinariamente possibile l’intervento a una sola voce di tutta l’assemblea. È un canto che può assumere tutte le lingue dei popoli, ma che non può non custodire e valorizzare anche la grande eredità del canto latino, ambrosiano o gregoriano che sia.

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