Dopo l’incontro al Giordano, ecco che ritroviamo Gesù a Cana di Galilea. Ora il contesto è quello della festa e del convivio nuziale. La madre si accorge che viene a mancare il vino. Fuori casa ci sono delle anfore, ma sono vuote: normalmente venivano usate per la purificazione. Con Gesù si riempiono di vino: il cuore ha bisogno della gioia del Vangelo.
Eccone il senso:
“E sia chiaro allora per tutti, che da ora in avanti non sarà il gelo a raccontare Dio. Sarà l’amore, sarà il banchetto a raccontarlo. E a cantarlo! E questa diventa notizia buona. Da ricordare. Perché dà inizio a una mutazione. Senza però fraintendere: non vorrei che, parlando dell’acqua mutata in vino, sminuissimo in qualche misura, fino a renderlo irrilevante, il valore dell’acqua. Il comando di Gesù, dopo che la madre gli ebbe detto: ”Non hanno vino”, fu: “Riempite d’acqua le anfore”. E le riempirono fino all’orlo. E allora se ciò che ti è possibile è portare acqua, semplicemente l’acqua, sappi che è un dono prezioso, mettila a disposizione, metti quello che puoi! Poi toccherà a lui, il Signore, trasfigurarla in vino, in ebbrezza, in ebbrezza di amore e di gioia.”
Questo va distribuito, magari in piccole dose, ma va fatto. Poi ce ne sarà dell’altro, più avanti e quello sarà l’ultimo, quello definitivo: è il vino distillato sulla croce di Gesù. E quello andrà bevuto goccia dopo goccia. In ogni goccia è contenuto l’amore perduto di Dio per noi.
Il nostro vescovo ci richiama a farci servi di questo vino della festa:
“Decidere il tempo da dedicare al servizio degli altri, che si tratti dei ragazzi del catechismo o dei poveri, o della visita agli anziani, rende presenze affidabili, quelle su cui si può contare per quell’ora o per quel giorno. Si sa che loro ci sono, perciò si può confidare che il servizio sia reso e che i ragazzi o i poveri o gli anziani non siano abbandonati.”